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Return on Experience, incrementa il ROI della UX

Scritto da Newsroom | 10-lug-2024 11.59.33

Nel business di oggi, il successo aziendale è strettamente legato al concetto di esperienza. Le aziende sono pienamente consapevoli di questa dinamica e, nel corso del tempo, hanno creato degli indicatori in grado di analizzare e quantificare il fenomeno. Il primo della lista che vogliamo approfondire in questo articolo è il Return on Experience, o ROX.

La centralità dell’esperienza, partendo da quella dell’utente

Non esiste una sola experience, ma di solito sono collegate. Se pensiamo all’ambito del prodotto, il concetto cardine è la user experience, l’esperienza dell’utente. La UX è l’esito delle interazioni dell’utente con il prodotto, fisico o virtuale che sia.

Una buona UX, che deriva per esempio da un sito facilmente navigabile, scalabile, con ottimi tempi di risposta o con un’interfaccia chiara e intuitiva, ha un impatto sull’esperienza e quindi sulla soddisfazione dell’utente, che può essere un cliente – e allora concorre alla customer experience (CX) – oppure un dipendente – e in quel caso rientra nel mondo della employee experience (EX).

A seconda dei casi, investire in UX ha quindi una ricaduta importante su diverse tipologie di esperienza, pur con effetti differenti: nel caso della CX si ha un risultato sulle vendite e sulla fidelizzazione, mentre per quanto concerne la employee experience, quello che migliora è soprattutto l’engagement del dipendente, da cui ne conseguono più produttività, più attaccamento ai valori del marchio e dunque meno turnover.

 

Return on Experience, ovvero misurare l’efficacia degli investimenti in UX

Ai nostri fini, ciò che conta davvero è sottolineare come gli investimenti in UX determinino effetti concreti e tangibili a prescindere dal fatto che a beneficiarne siano le vendite, il tasso di abbandono, quello di turnover o molti altri indicatori.

Agli investimenti volti a potenziare la user experience, le aziende associano esigenze di misurazione del loro impatto. Non è sufficiente sapere che una buona UX ha un effetto benefico sulle conversioni, le aziende vogliono una prova tangibile che i loro investimenti (economici, ma anche di tempo e di altre risorse) ripagheranno. Lo strumento del ROX, ovvero del Return on Experience, nasce a tal fine, perché ha l’obiettivo di quantificare il valore di un investimento volto a migliorare una specifica declinazione dell’esperienza.

 

Le differenze tra ROX e ROI

Il Return on Experience differisce dunque dal ROI, un concetto chiave nell’attività d’impresa in quanto punto di riferimento per calcolare la redditività degli investimenti: mentre il ROI valuta il rendimento finanziario diretto generato da un investimento specifico, il ROX è un concetto più ampio e sfumato che, a fronte di qualsiasi investimento con un’influenza (positiva, si suppone) sull’esperienza, punta a valutarne il ritorno a tutto tondo.

Se nel ROI intervengono unicamente parametri economici (money-in/money-out), il ROX misura l’impatto di metriche differenti, come la soddisfazione dell’utente, il tasso di abbandono, la frequenza di errore, il sentiment del dipendente e via dicendo, trovandosi così a operare all’interno di un quadro multifattoriale anche molto complesso, rispetto al quale deve fornire delle risposte chiare.

Parlare di ROX come evoluzione di ROI sarebbe formalmente improprio, ma di sicuro è complementare, ha un raggio d’azione più ampio e si adatta perfettamente all’era e alle aziende customer-centric, fornendo loro un supporto (anche decisionale) di primissimo piano.

 

Come si calcola il Return on Experience

Su una cosa, i commentatori concordano: calcolare il ROX non è mai semplice. In primis, perché non è una metrica statica come il ROI o il Net Promoter Score. Trattandosi infatti di una valutazione multifattoriale di un’esperienza, non esiste una formula unica o un metodo vincolante per calcolarla, ma piuttosto una serie di approcci o framework (es, quello di PwC) che possono essere adottati in base alle esigenze specifiche dell'azienda e soprattutto dell’iniziativa in essere. A seconda, infatti, del caso concreto, cambiano gli obiettivi, i dati disponibili, le metriche di riferimento e le analisi da effettuare sui dati.

Ciò che non cambia da un caso all’altro è la centralità del nuovo paradigma, venuto alla luce appena qualche anno fa ma già fondamentale per accompagnare le imprese in un’evoluzione sempre più experience-centric.